Gli eventi si susseguono con grande velocità a Bruxelles e di fronte all’invasione russa dell’Ucraina sono tante le decisioni che l’Unione europea deve prendere, anche modificando i piani e i progetti sino ad oggi messi a punto per rispondere alle conseguenze di un’altra emergenza, quella sanitaria.
Dobbiamo ammettere che dal Consiglio europeo di Versailles del 10 e 11 Marzo scorso esce un’Europa decisamente unita e compatta nella risposta alla guerra in Ucraina, ma molto debole sul piano delle risorse finanziarie che servono per dare vita all’Europa dell’energia e della difesa, per inviare mezzi militari al popolo ucraino, per accogliere i profughi e soprattutto per compensare i danni che le economie europee ulteriormente subiranno su energia e materie prime. Emmanuel Macron ce l’ha messa tutta. Ma non ci sono però ancora le basi per dare attuazione agli obiettivi immaginati, soprattutto dopo il gigantesco dispiego di miliardi del Recovery Fund post-pandemia.
Chi conosce il bilancio dell’Unione europea capisce bene che i tre obiettivi fissati nelle conclusioni di Versailles hanno le gambe corte. Il primo obiettivo, l’Europa della difesa, è quello più lontano. Sinora Bruxelles ha messo a disposizione per aiutare la resistenza ucraina 500 milioni del Fondo europeo per la pace, un fondo esterno al bilancio, di cui 450 milioni per armi letali e 50 per armi non letali. Dal bilancio dell’Unione si pensa di ricavare ulteriori 500 milioni, così come 90 milioni per gli aiuti umanitari. Inoltre, la Commissione ha stanziato 120 milioni di euro aggiuntivi in sovvenzioni, rispetto ai 160 milioni inizialmente previsti per il 2022 per rafforzare il cd. “state-building” in Ucraina. A questi si aggiungono i prestiti ordinari per l’assistenza macro-finanziaria che vengono annualmente accordati all’Ucraina così come ad altri paesi terzi, che valgono 1,2 miliardi per il 2022. C’è poi il Fondo della difesa europeo con 8 miliardi per i prossimi 7 anni (dal 2021 al 2027).
Ma tutto ciò non è certamente sufficiente per dar vita a un esercito europeo, per sostenere gli Stati membri che hanno già deciso di aumentare le spese militari sino al 2% del Pil, come Germania e Svezia, per soccorrere paesi terzi e per gestire imponenti flussi migratori. Servirebbero centinaia di miliardi.
Le uniche soluzioni possibili sono quelle di rivedere completamente i Piani nazionali di ripresa e resilienza, ad esempio incorporando aiuti immediati per calmierare i costi dell’energia e della benzina e nello stesso tempo per rafforzare le politiche di sicurezza e difesa comune europea, di procedere ad una nuova emissione di bond comuni oppure di aumentare le risorse proprie europee (tassa sul digitale, imposta sulle multinazionali, e altre imposte di cui si parla da decenni).
Vedremo come procederà la discussione, ma il punto non è banale.
Nel frattempo, le persone in Ucraina muoiono sotto le bombe, donne, bambini, uomini giovani e meno giovani. L’orrore della guerra non si ferma e ci consola solo la grande generosità dei cittadini italiani che stanno già accogliendo oltre 45.000 profughi. Un popolo stremato, città rase al suolo. Ritengo che sia giusto aiutare il popolo ucraino a resistere e difendersi, il diritto alla difesa va garantito, soprattutto quando un leader totalitario decide di invadere una nazione libera e sovrana che viveva pacificamente.
Mentre Putin racconta alle sue tifoserie che non si tratta di una guerra, ma di una “operazione” per liberare l’Ucraina dal nazi-fascismo, mettendo in piedi una narrazione falsa e patetica degli eventi, il popolo ucraino che si sente profondamente europeo, insieme al suo leader, dà prova di una straordinaria resistenza e attaccamento alla propria nazione.
Un grande abbraccio, con la speranza che nella prossima newsletter si possa parlare finalmente della fine della guerra.