Negli ultimi mesi si sono moltiplicate in Europa le cause di diritto del lavoro intentante dai lavoratori delle piattaforme. Lo sviluppo della tecnologia e dell’algoritmo e la diffusione di internet hanno portato alla rapida diffusione della rete anche come mezzo per la somministrazione di lavoro. Dai consulenti di alto livello, ai traduttori, ai ciclo-fattorini, a coloro che portano a termine ripetitive micro-task, cresce esponenzialmente il numero di persone coinvolte. Quante volte, anche in periodo di pandemia da Covid-19, abbiamo visto i riders sfrecciare per le vie silenziose delle nostre cittá per consegnare una pizza calda? Ma proprio l’emergenza sanitaria ha messo ulteriormente in evidenza le condizioni di lavoro precarie e insicure che caratterizzano una parte consistente di questi lavoratori. Nessuna protezione sociale, nessuna assicurazione contro incidenti o malattia, nessuna garanzia contrattuale e invece un controllo pervasivo delle modalità di esecuzione del lavoro affidato essenzialmente ad algoritmi. L’impersonalità della relazione di lavoro, cosí come il reclutamento e la direzione del lavoro a mezzo internet ha cosí facilitato una delle più grandi truffe ai danni dei lavoratori degli ultimi anni. Il lavoro dei rider si sviluppa secondo criteri e condizioni che rientrano pienamente, nella maggioranza dei casi, nella casistica delle relazioni di subordinazione, mentre quasi sempre viene loro riconosciuto lo status di lavoratori autonomi, permettendo a queste ultime di disfarsi di obblighi contrattuali che avrebbero se venissero riconosciute come datori di lavoro. Non sono contro la flessibilità; e la possibilità per studenti o altre categorie di lavoratori di usufruire della libertà di tempo e orari che questo tipo di lavori consente. Ma quando la flessibilità diventa precarietà assoluta e non voluta è necessario intervenire.

Il Parlamento europeo ha deciso di affrontare il problema, in attesa di una Direttiva vera e propria da parte della Commissione. Abbiamo approvato un significativo Rapporto di iniziativa, frutto di intense negoziazioni che mi hanno vista in prima fila, come relatrice per il gruppo di S&D.

Nel testo diciamo in modo chiaro che i lavoratori delle piattaforme sono, come tutti gli altri, dipendenti o autonomi sulla base di criteri oggettivi definiti dalle legislazioni nazionali, fugando ogni tendenza a farne una categoria a parte, che avrebbe portato via a coloro che sono lavoratori dipendenti alcuni dei diritti che invece devono essere loro garantiti. Al tempo stesso, chiediamo alla Commissione europea di introdurre, nella direttiva che proporrà, la presunzione di vincolo di subordinazione per i lavoratori delle piattaforme: questa, pur non andando minimamente a intaccare le situazioni di coloro che sono genuinamente lavoratori autonomi, cercherà di prevenire il problema dell’erronea classificazione, combattendo il fenomeno dei “falsi autonomi”. Per dare a tale presunzione efficacia operativa, fondamentale é anche la nostra richiesta di introdurre l’inversione dell’onere della prova: in caso di controversia, dovrà essere la piattaforma a dover provare l’assenza del vincolo di subordinazione – e non più il lavoratore che costituisce certamente la parte più debole tra le due. Chiediamo poi più trasparenza dell’algoritmo e conoscibilità del suo funzionamento.

Il testo approvato, che verrà approvato dopo l’estate in plenaria, costituisce un passaggio di importanza storica, che pone la politica europea al centro del dibattito in ambito sociale, affidandole quel ruolo propulsivo e progressista che noi Socialisti e democratici promuoviamo da sempre.