Le indicazioni che gli elettori ci hanno fornito alle elezioni europee del 2019 sono state chiare: l’Europa deve essere protagonista in campo ambientale e sociale. In questi due anni di mandato ho potuto osservare cambiamenti di portata storica. Prima di tutto la risposta inedita alla pandemia, basata sui valori della solidarietà e della vicinanza ai bisogni e alla sofferenza dei cittadini europei. I fondi del Recovery Fund ci hanno consentito di scrivere un Piano nazionale di ripresa e resilienza che punta sulla modernizzazione radicale, digitale ed ecologica, del nostro paese. Ma è una novità anche l’attenzione dell’Europa al lavoro, alla povertà, alle persone oltre che ai numeri dell’economia.

Un provvedimento emblematico di questa svolta è la direttiva sul salario minimo europeo, proposta qualche mese fa e su cui sto lavorando intensamente con i colleghi del mio gruppo parlamentare. La rilevanza di questa direttiva traspare dalla discussione serrata che stiamo ingaggiando con cittadini, istituzioni nazionali e parti sociali. Il salario minimo è una politica che cambia radicalmente la struttura del mercato del lavoro, imponendosi a tutti i contratti una soglia minima di retribuzione e soprattutto promuovendo una maggiore convergenza tra i livelli salariali medi dei diversi paesi europei. In questo modo sarà possibile contenere anche il fenomeno del dumping sociale, ossia della gara a un costo del lavoro sempre più basso che nei decenni passati abbiamo osservato in Europa con relative delocalizzazioni selvagge di imprese e attività produttive.

La Direttiva punta poi a combattere la povertà sul lavoro. Ancora oggi in Europa 1 lavoratore su 10 è a rischio povertà e il lavoro non è più un deterrente contro l’indigenza. Ecco perché l’intervento legislativo della Commissione europea sui salari segnerà un ulteriore passo in avanti verso la giustizia sociale e il “benessere” di tutti.