Col passare del tempo l’età media della popolazione italiana si sta alzando. Da una parte i progressi della medicina allungano la vita, dall’altra nascono meno bambini. In un’Italia più “anziana” è fondamentale riformare i servizi alla persona, per adattarli alle necessità in cambiamento della popolazione. In particolare bisogna ripensare l’approccio alla non-autosufficienza, che limita fortemente la vita di relazione, sociale e lavorativa di una persona con condizioni patologiche. Gli anziani sono più vulnerabili alla non-autosufficienza, ma è un loro diritto poter vivere liberamente la vecchiaia. Penso ad esempio all’Art 25 della Carta europea dei Diritti Fondamentali, che sancisce il diritto delle persone all’autonomia nella terza età. Eppure mentre in Europa i 65enni possono aspettarsi di vivere ancora 19,5 anni, in media solo 9,4 anni saranno in buona salute.

Di questo ho parlato lunedì in una chiamata online organizzata da IRES, l’Istituto di Ricerca Economica e Sociale dell’Emilia Romagna, con la partecipazione della CGIL regionale, dello SPI CGIL e di AUSER, l’associazione nazionale per l’invecchiamento attivo. E proprio l’invecchiamento attivo sarà un concetto chiave nel futuro dei sistemi di welfare europei. Consentire alla persona di rimanere in controllo della propria vita quanto più a lungo possibile è un modo per rispettare i diritti di una porzione sempre più ampia della popolazione, e di consentire loro di contribuire col proprio lavoro più a lungo. In quest’ottica a livello europeo siamo in attesa di un Green Paper della Commissione sull’invecchiamento attivo, sperando che poi si trasformi in una direttiva dell’Unione. Nel frattempo vorrei ringraziare IRES e la CGIL Emilia-Romagna per l’invito a questo pannello interessante, e mi auguro che ci terremo in contatto per collaborare quando dovremo lavorare sul tema in Parlamento europeo.