Alla fine di settembre i casi di COVID-19 in Europa hanno superato i 2,5 milioni e purtroppo hanno portato alla scomparsa di oltre 185 mila persone. Numeri che fanno paura e che potrebbero peggiorare ulteriormente nelle prossime settimane, a causa della seconda ondata che ha già colpito molti paesi europei. In un simile contesto, la logica vorrebbe che fossero destinate maggiori risorse al programma europeo di ricerca ed innovazione “Horizon Europe”; risorse che saranno determinanti per contrastare efficacemente la pandemia. Invece, anche a causa dei contributi mancanti da parte del Regno Unito, al momento non è così.
Difatti, i 76 miliardi di euro proposti a luglio dall’accordo tra capi di stato e di governo da destinare a “Horizon Europe” significano in termini reali che per la prima volta in assoluto non ci sarà un aumento del bilancio pluriannuale per la ricerca e l’innovazione in Europa. D’altro canto, i negoziati sul Quadro finanziario 2021-27 sono in corso e la posizione del team negoziale del Parlamento europeo è molto chiara: Horizon Europe è uno dei 15 programmi di spesa “prioritari”, per cui non ci sarà un accordo tra le istituzioni fintanto che gli stati membri non avranno dato il via libera ad un aumento consistente delle risorse destinate alla ricerca e all’innovazione scientifica. Il nuovo Presidente del Consiglio europeo per la ricerca (ECR l’acronimo in inglese), Jean-Pierre Bourguignon, ha ribadito che questa stagnazione colpirebbe duramente il lavoro dell’ECR e sarebbe un vero e proprio disastro per quella che negli anni ha dimostrato essere un esempio di grande successo nella ricerca multilaterale. Ad avvalorare le sue parole ci sono i numeri: soltanto nel 2020 il Consiglio europeo di ricerca ha registrato un aumento di oltre il 40% delle richieste di sovvenzioni in progetti di ricerca rispetto al 2019. Durante la l’audizione di Bourguignon in commissione bilancio sono intervenuta per ribadirgli la posizione ferma del Parlamento europeo: sugli investimenti in ricerca scientifica, soprattutto in questa fase, l’Unione europea non potrà permettersi posizioni al ribasso.
Sul fronte italiano degli investimenti in ricerca e sviluppo sembra che qualcosa si stia muovendo; infatti, credo sia indispensabile che la ricerca scientifica sia una destinataria di una parte consistente dei 209 miliardi di euro che arriveranno al nostro paese proprio dall’Europa grazie al Recovery Fund. D’altronde, occorre ricordare che siamo uno dei paesi più avari in termini di risorse destinate alla ricerca scientifica: solo l’1,4% del PIL nazionale (secondo i dati dell’Istat), rispetto ad una media europea che si aggira intorno al 2,2%. Le risorse europee, dunque, potrebbero servire ad aumentare la competitività dei centri di ricerca e delle eccellenze italiane, sfruttando appieno i loro modelli organizzativi che nonostante la povertà di risorse, lavorano bene. Inoltre, una parte di questo straordinario stimolo dovrebbe essere investito in infrastrutture di ricerca, in modo che i nostri ricercatori più competenti scelgano di spendere sul nostro territorio e non all’estero tutti i finanziamenti che ricevono. Destinare risorse alla ricerca scientifica sarebbe un vero e proprio investimento sul futuro del nostro paese e sulle sue prospettive di sviluppo. Mi aspetto che il governo faccia la sua parte.