L’ho detto più volte e continuerò a ripeterlo, non stiamo dando abbastanza attenzione alla situazione delle donne in questa crisi da Covid-19. Le donne sono state fin da subito in prima linea contro il coronavirus, e costituiscono il 76% dei lavoratori nelle professioni sanitarie in Europa. Eppure oggi le donne sono la categoria più a rischio di perdere il lavoro. La crisi ha colpito in maniera sproporzionata i settori ad alta occupazione femminile. Penso al trasporto aereo, all’abbigliamento, alla ristorazione, all’ospitalità. Sono industrie che sono state costrette a fermarsi nei mesi della pandemia, e che tipicamente offrono posti di lavoro part-time o precari. Già prima della crisi il 30% delle donne lavorava part-time, contro solo l’8% degli uomini; più di una donna su quattro ha un lavoro precario. Negli ultimi anni erano stati fatti passi importanti e le disuguaglianze stavano diminuendo, ma la crisi mette a rischio queste conquiste.
Non dobbiamo farci trovare impreparati dalla crisi economica e lasciare indietro le donne. Dalle informazioni che abbiamo finora sembra che il Recovery Fund europeo investirà pesantemente su settori a prevalenza maschile. Certamente è un grosso passo in avanti, finalmente la solidarietà europea si fa sentire. Però i dati dicono che in Italia, tra i lavoratori tornati a lavorare nella Fase 2, solo il 25% sono donne. Sono dati preoccupanti, e temo che il resto dell’Europa si troverà in una situazione simile. Ho voluto quindi mandare una lettera ai Commissari europei Hahn, Dalli e Schmit chiedendo un impegno concreto per facilitare il ritorno al lavoro delle donne: nel prossimo bilancio dell’UE per il 2021-2027 serve una linea di budget che guardi alla ripresa economica per le donne. È una buona occasione per applicare finalmente il gender mainstreaming, pensando alle problematiche di genere trasversalmente a tutte le politiche che attiveremo per stimolare la crescita.