La crisi determinata dalla pandemia di coronavirus ha un impatto diretto sui cittadini ma anche sui governi, che si trovano nella situazione di dover assumere decisioni anche molto drastiche in tempi rapidi. Questo però non può e non deve andare a detrimento dei principi democratici. È ciò che è avvenuto in Ungheria, dove lo scorso 30 marzo, nascondendosi dietro le necessità imposte dall’epidemia di Covid-19, il premier Orban si è attribuito pieni poteri. Potrà quindi adottare qualsiasi misura senza passare dal controllo parlamentare (quello stesso Parlamento in cui la sua maggioranza, bypassando le proteste dell’opposizione, ha disciplinatamente dato a Orban l’autorizzazione a esautorarlo). Avendo poi deliberato che è possibile mettere in prigione fino a 5 anni i giornalisti o coloro che dissentono dalla linea del governo, Orban ha di fatto trasformato l’Ungheria in un regime autoritario.
La triste parabola ungherese raggiunge così un picco inaccettabile per l’Unione europea, una comunità di Stati basata sul rispetto della democrazia, lo Stato di diritto, la libertà, l’uguaglianza e i diritti umani – come sancito anche all’art. 2 del Trattato. Già da tempo l’Ungheria di Orban dà segnali pienamente antidemocratici e, proprio per questo, nel 2018 il Parlamento europeo ha dato il via alla procedura prevista al fine di verificare l’esistenza, in uno Statto membro, del rischio di violazione di questi principi fondanti. Da allora, il Parlamento, unitamente alla Commissione europea, non ha smesso di vigilare e denunciare i comportamenti di Orban. In una situazione simile si trova anche la Polonia.
Ma come funziona il meccanismo messo in moto dal Parlamento? Si tratta di una procedura dal carattere essenzialmente politico e composta di più fasi, nelle quali il Parlamento, dopo averla attivata, ha purtroppo un ruolo limitato. L’Ungheria deve essere ascoltata dal Consiglio degli stati e dei governi, che può rivolgergli raccomandazioni e potrà poi constatare, con una maggioranza di 4/5 e dopo il voto favorevole del Parlamento europeo, l’esistenza del rischio di violazione dei principi fondanti dell’Unione. Ad oggi il governo ungherese è stato chiamato a rispondere nel corso di due audizioni tenutesi in Consiglio, e tocca quindi a questo agire. Il Parlamento, però, non è stato a guardare: nel Gennaio 2020 abbiamo approvato una risoluzione nella quale, oltre a denunciare il mancato riallineamento da parte dell’Ungheria ai principi democratici, abbiamo chiesto che le audizioni siano organizzate in modo aperto, regolare e strutturato. Ma ormai non ci sono più dubbi. La Commissione europea ha già dichiarato con fermezza che le misure di intervento straordinarie negli Stati membri non devono oltrepassare quanto indispensabile a fronteggiare la crisi, ma non basta. Semplicemente, le dittature non possono far parte dell’Unione, e auspico dunque che si faccia di tutto per arrivare a una soluzione forte nei confronti dell’Ungheria.