L’emergenza che l’Italia, e il mondo, stanno vivendo è prima di tutto un’emergenza sanitaria e le epidemie, si sa, non conoscono confini. La via maestra per contenerla, sarebbe quindi stata, laddove possibile, una risposta unica e fortemente coordinata dal livello europeo. La pandemia ha rimesso al centro la persona, i suoi bisogni, le sue fragilità; ci ha fatto capire quanto siano importanti i sistemi sanitari e di welfare, i servizi alle persone, ai bambini, agli adolescenti e quando diverse siano i modelli di risposta nei diversi paesi.
Ad oggi, l’Unione europea non ha purtroppo competenze dirette in materia sanitaria. Nel nostro paese sono le regioni che hanno autonomia finanziaria e organizzativa in materia di personale e strutture sanitarie, mentre la programmazione delle risorse e dei livelli essenziali delle prestazioni spetta allo Stato.
Tra le altre cose, l’Europa può intervenire in campo veterinario, proprio a seguito della crisi innescata dalla Mucca Pazza e quindi sarebbe davvero importante che dicesse la sua sul coordinamento delle misure di risposta alle pandemie.
Qualcosa tuttavia l’Unione può fare. Due sono gli strumenti a cui può ricorrere.
Il primo riguarda il Sistema europeo di monitoraggio e scambio di informazioni tra gli Stati, di valutazione del rischio e di pianificazione di appalti congiunti tra paesi per l’acquisto di materiale medico.
Il secondo strumento è il Meccanismo europeo di protezione civile (RescEU), che può essere attivato su richiesta degli Stati tramite l’aiuto del Centro di Coordinamento della Risposta all’Emergenza gestito dalla Commissione europea. L’assistenza è fornita dagli Stati partecipanti al Meccanismo, su base volontaria, ma è prevista la possibilità di istituire un pool europeo di protezione civile, o ancora, è prevista la possibilità che gli Stati membri possano acquistare, noleggiare o affittare risorse operative ad hoc da altri Stati membri.